[ART] L'oscurità nel fantasy, Quando forzare una porta provocava terrore

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view post Posted on 31/8/2015, 12:30
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Non è facile scrivere su questo argomento, ma è facile accorgersi che un tempo anche il gioco fantasy aveva un altro appeal.
Sia chiaro: stimo ogni gioco e ogni incarnazione, se è ben fatto. Non disdegno il gioco "eroico" di 13th Age, il tatticismo di D&D quarta edizione, né tanto meno la complessità di Pathfinder; e non è un mistero come D&D 5th edition sia di gran lunga la mia edizione preferita, per le ragioni che vedremo...

Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con l'oggetto di questo articolo: ciò che mi spinge a scrivere in tal senso è la totale, assoluta mancanza di oscurità nel fantasy moderno. Qualcuno diceva che le regole non dipingono un gioco di per sé, ma non è sempre vero.

Iniziai a giocare nel lontano 1997, con una versione (all'epoca aberrante, oggi quasi di moda) di D&D a metà strada tra basic e Advanced. Il master era un caro amico, il cui più grande divertimento era spararci addosso quantità inenarrabili di pericoli e il nostro compito era avanzare senza sosta sperando di salvarci. Uno schema di gioco che oggi si disdegna e che io trovo stimolante se contestualizzato, ma non è questo il punto: il nocciolo vero e proprio si cela nei dettagli.
In quel contesto, con quelle regole, fare due passi sbagliati significava rischiare due volte la morte; oggi, per morire, servono un grosso impegno da parte del DM e una grande, sontuosa dose di sfiga. I giochi moderni non pongono l'accento sulla mortalità e sull'incertezza, ma sulla forma esteriore e sulla completezza di opzioni.

Nella fattispecie, Advanced D&D (io aggiungo 2nd edition), rappresenta probabilmente l'incarnazione perfetta di "oscurità nel fantasy": un feeling medievale ineguagliabile, una costante paura di non farcela, la necessità di fare i conti con risorse limitate. Una mossa poteva cambiare un'intera battaglia, ma poteva essere l'unica opportunità di farlo.
E non voglio parlare al passato: quelle edizioni sono anche il presente, per chi lo desidera. AD&D oggi può ancora regalare moltissime emozioni e lo sfogliare questi manuali (meravigliose riedizioni premium di WoTC) mi ha riportato a quelle sensazioni.
Trovo difficile definire di cosa si tratta: è un mood generale, un approccio mentale diverso al GDR. Non si ha il controllo del sistema, non si ha nemmeno il controllo assoluto del proprio pg. Il gioco è un contenitore (spesso caotico e incomprensibile) di possibilità, in cui il DM ha un potere immenso. Molti dei giochi moderni (e quì possiamo uscire anche dai confini del fantasy) concedono molta "system mastery" ai giocatori e poco controllo ai DM, a meno che questi non forzino la mano, scardinando in realtà un cardine portante di questi sistemi.

AD&D consentiva di giocare un fantasy tetro e dominato dal dubbio: poco importava che un tiro di dado influisse in modo spaventoso, poiché l'attenzione era posta altrove. Un Mago poteva non essere in grado di trovare uno spiraglio per lanciare un incantesimo e il guerriero era tenuto (per paura o morale, non fa differenza) a proteggerlo; il ladro cercava disperatamente di entrare e scomparire, mentre il Chierico imprecava sperando che le bestemmie non risuonassero troppo. Il clima era diverso: in molti avvertono quel senso di privazione come un limite, esattamente come accade per i giocatori moderni a fronte di "Dark Souls". Putroppo per loro, la verità è un'altra: moltitudine di opzioni non equivale a libertà, tanto meno a divertimento.

Le opzioni non sono un problema per il giocatore narrativo, perché non compie alcuno sforzo per comprenderle; esistono giocatori ibridi cui piace il "pg forte", ma di norma non vengono schiavizzati dalle regole e i DM sono più che felici di concedere loro qualche eccezione. D'altra parte, c'è un nucleo di giocatori che non si separerebbe neanche morta dalle loro "certezze" fornite dalle combo di sistemi più "sui tempi".

Si creano così due problemi: un abisso generazionale e la falsa convinzione che il vecchio sia da buttare, in una sorta di "consumismo ludico" che non ha ragione di esistere.

Scrivo dunque questo articolo per consigliare a tutti di confrontarsi con quel tipo di gioco, di rispolverare il vecchio piacere dell'incerto e del medioevo più nero. Riprendete quei maghi con 2 incantesimi al giorno e quel prete speranzoso che si logora pur di portare il gruppo a fine giornata. Riportate per qualche istante il gioco fantasy su fronti diversi: se si tratta di dungeon crawling perché "stasera non avevo altre idee" ben venga, basta che lo si faccia con coscienza, senza perdersi in combinazioni e necessità di controllo che hanno del maniacale.


Se proprio non riuscite a rapportarvi con il "vintage" (sarebbe davvero un peccato non provare), c'è D&D Quinta Edizione, che di certo non è un gioco "antico", ma ha la forza di riportare in auge (con straordinario coraggio editoriale, va riconosciuto) una serie di concetti e una semplificazione non banale del sistema più amato e discusso di sempre. Per la prima volta da quel lontano 97 ho la sensazione di sedermi e giocare a un gioco sano, un pen & paper dove nulla è predeterminato e dove la ricerca dell'unicità non si cela nell'analisi della curva di potere, ma nel pensiero narrativo del proprio pg.

E' un pò quello che sta in mezzo tra il concepimento classico e quello artificiale: portano allo stesso risultato, ma vuoi mettere il divertimento del classico?


Per chiunque sia interessato a provare o ri-provare quel "divertimento" di un tempo (che ripeto, è tutto fuorché da buttare), vi invito a partecipare alla mini-campagna di Dragonlance che inizierà nel dopo FabCon per accompagnarci lungo l'autunno.


Never split the Party
M.
 
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